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VIAGGIO IN MOUNTAIN BIKE NELLE TERRE DEL SANGUE - Indicatore Mirandolese

L’intenzione era spingere la mia mountain bike in quelle terre che si specchiano sull’altro lato dell’Adriatico per vedere con i miei occhi i Balcani: quei luoghi di cui parlano i libri di storia e i telegiornali. Il più grande conflitto del dopoguerra in Europa, d’altra parte è avvenuto lì.

 Come partenza ho scelto Trieste: città di frontiera e di sofferte contese. Ha l’aria di un quadro dove maestosi edifici asburgici di abbagliante marmo bianco svettano sul blu intenso del mare. Qui intorno si sono consumati quei crudeli episodi che conosciamo come foibe. Decido di visitarne una che porta il nome della località stessa:la Foiba di Basovizza, divenuta recentemente monumento nazionale in memoria di tutte le vittime accomunate da questa sorte.

Sono già al confine conla Slovenia e anche qui lungo le stesse strade che percorro affiorano, senza andarle a cercare, le tracce di un tragico passato: sono i luoghi della deportazione, oggi divenuti memoriali o musei, sono le tante caserme costruite negli anni della guerra fredda ed ora abbandonate. Raggiungo prestola Croazia e faccio tappa a Fiume: città dai monumenti grotteschi e con i Balcani che si specchiano imponenti nelle acque.

Avanzo lungo la trafficatissima costa, per imboccare una vallata che mi porterà all’interno della Bosnia. Ad ogni metro di salita si fa sempre più lontano quel mondo di ombrelloni e sdrai che si è impadronito di buona parte del litorale. Entro nelle zone della comunità pastorale, dedita al taglio del legname e agli allevamenti: sono le radici profonde delle comunità, ed è proprio in questi luoghi che scorgo i segni di quella che nel ‘95 fu la deportazione in massa della comunità serba. Scorgo case abbandonate ancora in perfetto stato, terreni incolti, porte e finestre sbarrate, numeri civici rimossi: indizi che non lasciano dubbi.

Al confine con la Bosnia mi imbatto nelle cascate di Plitvice: un capolavoro di giochi d’ acqua e rocce unico al mondo e per questo tutelato dall’Unesco. In questa zona di confine, paradossalmente, la natura mostra del suo meglio dove l’uomo ha lasciato un’eredità di distruzione: come testimoniano le tante case crivellate di colpi che qui incontro per la prima volta. Entro in Bosnia e devo ricredermi sulle mie aspettative di trovare un paese indigente: anche se gli standard di vita e le abitudini sono molto diverse anche solo rispetto alla Croazia. Noto che quasi tutte le città hanno una composizione multietnica in cui musulmani e cattolici convivono in qualche modo, mentre le comunità serbe sono decisamente chiuse.

Constato con stupore che gli islamici qui non disdegnano qualche brindisi alcolico e le donne, a parte qualche raro burka, vestono con disinvoltura “occidentale”. Durante la lunga attraversata tra campi coltivati e panorami “trentini” vedo una particolare attrattiva: sono certi cartelli rossi con teschio bianco al centro che avvertono la presenza di mine. Dopo 5 giorni di vallate arrivo a Sarajevo: il primo impatto sono i palazzoni grigi architettonicamente obbrobriosi che inghiottono la maggior parte dell’area urbana.

L’immagine di “benvenuto” è una enorme distesa di steli bianchi: i quattro anni di assedio hanno allargato a dismisura l’area cimiteriale. Il centro storico è di indiscutibile fascino: ogni angolo è un trionfo di forme e stili sempre diversi, una volta orientali, una volta occidentali. Nell’attraversare queste vie, tra le sporte dei passanti, la mente corre alle immagini dei telegiornali di venti anni fa: il terrore dei cecchini e delle bombe, le vittime ammassate per strada tra i detriti. La peggiore delle stragi avvenne proprio dove mi trovo a transitare: la caotica piazza del mercato. Saluto Sarajevo valicando quelle famigerate colline da cui i serbi perpetrarono l’assedio, e mi dirigo verso Mostar.

Arrivo quando le luci inondano di color ambra il lungo e lucentissimo viottolo che porta alla grande attrattiva: il Ponte Vecchio. Per chi da questa meraviglia esige qualcosa di più ci sono occasionali tuffatori che per qualche euro si lanciano lungo i trenta metri che separano il ponte dalle acque. La guerra trasformò le pietre di antichi edifici in un ammasso di macerie: eppure con ammirevole dedizione, la comunità locale è riuscita a recuperare gli antichi splendori. La mia ultima destinazione è Spalato, con le sue gigantesche statue e il favoloso mausoleo di Diocleziano.  

L’ultima visita è il porto e da qui la nave che mi riporterà in Italia. Ancora oggi faccio fatica a definire che “sapore” mi ha lasciato questa terra: se è quello dolce della natura e dell’arte, o quello amaro della storia.

 

Raffaele Ganzerli

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