DAL BULLISMO ALIMENTARE ALLO STIGMA: QUANDO LE PAROLE HANNO UN PESO. L’OPINIONE DI TRE GIOVANI STUDENTI - Indicatore Mirandolese
In una società che spinge alla magrezza, spesso non ci si accorge di quante persone cadono in certi meccanismi per inseguire un ideale
Il 15 marzo è la giornata nazionale dedicata ai disturbi del comportamento alimentare, definita con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri l’8 maggio 2018, per ricordare la prematura scomparsa, a soli 17 anni, di Giulia Tavilla a causa della bulimia. Una giornata per riflettere e comprendere come arginare un fenomeno in forte crescita, soprattutto dopo il periodo pandemico, che abbraccia un’età compresa tra i 13 e 25 anni.
Un tema spesso affrontato coinvolgendo gli esperti del settore. L’Indicatore Mirandolese ha voluto approfondire la questione ascoltando, a riguardo, direttamente i giovani e in particolare Francesco Petrone, Elisa Goretti e Francesca Cavani che frequentano il 3° anno, 2° semestre del corso di laurea in Dietistica di UniMoRe.
“In una società che spinge alla magrezza e alla standardizzazione, che associa alle parole grassa e magra determinate caratteristiche – dichiara Francesco – spesso rimaniamo indifferenti e non ci accorgiamo di quante persone cadono in certi meccanismi, cercando di raggiungere un ideale e di fuggire dall’altro con tutte le proprie forze. Credo che una grossa parte del recitare “la cultura della dieta” sia utilizzare l’idea che perdere, o prendere peso, significhi aver sbagliato qualcosa, perché essere o non essere “dentro” ad una categoria di corpi sia negativo. Più che di bullismo alimentare – sottolinea lo studente – parlerei di stigma, che è pervasivo verso la società, verso le persone che non rispettano un determinato standard e che si sentono tagliate fuori. Sfido chiunque a dire “chi non ha mai fatto una dieta” per cercare di controllare il peso del proprio corpo, la taglia che porta oppure, con la scusa della salute, cadere in determinati meccanismi alimentari e a promuoverli.”
“Per combattere i disturbi alimentari – suggerisce Elisa – è necessario iniziare il percorso informando e rendendo tutta la popolazione consapevole di cosa sono i disturbi alimentari e di come ci si debba rivolgere a queste persone con questi disturbi. Occorre partire da un cambiamento più profondo, un cambiamento della società che dà contenuti che riguardano i bambini, ad esempio i cartoni animati, i giocattoli che spesso sostengono questa cultura, che dà peso alle forme del corpo, promuove ideali e figure standardizzate. L’obiettivo è una società libera svincolata da questo concetto.”
“Uno degli aspetti spesso trascurati – interviene Francesca – è informare ed imparare a conoscersi. È estremamente importante comprendere la sofferenza che c’è alla base, il dolore di chi soffre di un disturbo alimentare che deve affrontare tutti i giorni con cui deve convivere. Non deve essere un peso parlare di come ci sentiamo dentro – continua – perché il disturbo alimentare è la punta di un iceberg dove alla base ci possono essere tante sofferenze. Ecco perché è importante sensibilizzare e soprattutto, “stare più attenti alle parole da usare nei social network”, spesso impiegate in senso sbagliato verso i più giovani. L’adolescenza è un momento del tempo in cui noi “decidiamo il valore che ci danno gli altri”.
“La famiglia poi ha un ruolo importante – riprende le file del dialogo Francesco – perché ha un grosso impatto sia prima, durante che dopo il disturbo alimentare in quanto una persona può essere figlia di un genitore che ha avuto dei problemi con il cibo, oppure non ha mai toccato con mano il problema del cibo. Ad esempio, se una persona ha una madre che è costantemente a dieta, che parla di diete, che quando era giovane voleva, o vuole, dimagrire per entrare nei jeans, oggi i disturbi intervengono anche nelle fasce 8–9 anni, è certo che il problema ha una origine ben precisa. Un adolescente inizia a chiedersi che ingrassare è negativo e dimagrire è qualcosa di positivo. Un altro esempio importante riguarda avere dei genitori che controllano costantemente l’alimentazione, un conto è quella sana e altro è farla pesare “come sana” ai propri figli, un punto di partenza che può predisporre a determinati ingranaggi mentali.
“La famiglia ha un ruolo centrale – sostiene Elisa – e la sua presenza attiva di mettersi in ascolto dei propri figli e cercare di farli sentire compresi prestando attenzione al cambiamento. È importante l’appoggio, perché se ci si trova da soli è facile entrare in un vortice ed estremamente difficile uscire, ci sono dei casi, ma è veramente difficile. Fondamentale – continua la studentessa – è cercare di far capire che le difficoltà ci sono ma che possono essere affrontate, anche con i coetanei.”
In conclusione, Francesca, sottolinea l’importanza di chiedere aiuto perché il disturbo alimentare non è una cosa di cui vergognarsi. “La conoscenza e la sensibilizzazione possono aiutare tante persone e le famiglie di essere pronte ad accogliere questa richiesta di aiuto soprattutto perché oltre alla sofferenza del disagio il nostro corpo è l’unico posto in cui dovremmo vivere per sempre e dobbiamo aiutare i ragazzi ad amarlo e ad apprezzare tutto quello che quello che ci può dare.”