"CI DOBBIAMO DARE TEMPO" - Indicatore Mirandolese
«La mattina del 4 agosto 1944, dopo le grandi esplosioni della notte, che avevano distrutto le case e i ponti sull’Arno a Firenze, una ragazza esile e bruna sui vent’anni aprì la porta di casa, e domandò se era stato distrutto anche il Ponte a Santa Trinità. Le dissero di sì. Allora la ragazza chiuse gli occhi, per trattenere la commozione: ma presto li riaprì tra lacrime e singhiozzi.
Le donne, che col permesso della ronda tedesca, erano uscite a prendere l’acqua, le passavano accanto chiedendole cosa avesse: se a causa delle esplosioni notturne, un suo parente o un suo amico era morto o ferito. La ragazza scosse la testa: rispose soltanto che il Ponte a Santa Trinità era stato distrutto e lei non l’avrebbe mai più visto».
Quell’esile ragazza ventenne era Vittoria Guerrini, divenuta presto un punto di riferimento per il mondo letterario italiano con lo pseudonimo di Cristina Campo. Il ricordo della seconda scossa, forse ancor più della prima dove aveva prevalso lo stupore e il silenzio di fronte all’inimmaginabile, sta tutto nel rumore della città che viene meno. Lo sgretolarsi, l’accartocciarsi di capannoni, di case e di Chiese. Mirandola appariva come una grande scenografia teatrale, con le facciate delle case intatte.
Forse è per questo che le Tv nazionali si sono accorte di noi in ritardo, mentre per noi mirandolesi il rumore rimasto imprigionato per giorni dentro alle nostre orecchie, era già l’evidenza di ciò che stava succedendo. Bastava fare il giro dietro alle quinte di quell’immaginario palcoscenico che è piazza Costituente: scale accartocciate e tetti appoggiati su letti e divani. Se il giorno dopo la seconda scossa mi avessero chiesto qual è la priorità nella ricostruzione avrei detto la casa; se me lo avessero chiesto dopo un mese avrei detto le aziende; d’estate il pensiero fisso era l’avvio delle scuole; poi a settembre rianimare il centro storico.
Ma oggi, se me lo chiedessero, direi che la priorità deve essere la nostra salute, la riconquista della normalità, dell’equilibrio psicofisico di ognuno di noi. Come per Cristina Campo (che vi consiglio di riscoprire come lettura) era il Ponte a Santa Trinità, chi ha sentito la sua città cadere non può che darsi tempo, tanto tempo, per elaborare quel lutto che è a tutti gli effetti un lutto familiare. E un anno è poca cosa. Ci dobbiamo dare tempo.
Cristina Ceretti
Capogruppo Pd
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