CHE AVVENTURA LA CACCIA NOTTURNA ALLE PATATE! - Indicatore Mirandolese
Eravamo nel dopoguerra e come potete immaginare il problema più grande era il cibo. Mi ricordo che mia madre mi portava con lei quando andava dalla “Pina” Gandolfi che possedeva un chiosco vicino alla Madonnina ed anche un carretto con cui, a volte, andava, assieme alla Bruna Pollastri a vendere verdura, frutta e soprattutto gnocco di farina di castagne. Molte sere, per stare in compagnia, le signore si trovavano in casa della Pina per giocare a briscola. Le giocatrici si sedevano sempre agli stessi posti e la padrona di casa, astutamente, aveva collocato uno specchio dietro alla Pollastri, in modo da controllarne le carte e sapere sempre cosa aveva in mano. Così per diversi mesi, lei e mia madre, tutte le sere vincevano e siccome giocavano piccole somme, era un modo per mettersi in tasca qualche soldo. Un giorno mia madre dice alla Pina: «Mi hanno detto che dietro al cimitero c’è un mucchio di patate. Vuoi che le andiamo a prendere stasera?».La Pina accetta senza esitare e così di sera, prendono due “frodette” di cuscino da utilizzare come contenitori e partono per il cimitero. Arrivano sul posto e cominciano a raccogliere le patate. Dopo un po’ sentono cigolii e rumori strani provenire dal cimitero, vedono le luci delle lapidi e poi ci si mettono anche gli uccelli notturni a spaventarle con i loro canti e se è vero che la paura fa novanta loro allora sono già a cento. «Pina, me a go già la frudeta pina, te cuma set misa?» chiede mia madre che non vede l’ora di andarsene. «Me an glo gnanch meza» le risponde Pina.«Vot can dema a cà? A farem a mez» propone mia madre.
«An vdiva l’ora cat gis acsè».
Si caricano i sacchi sulle spalle e ritornano a casa. Mio padre le stava aspettando «Era ora che arrivaste a casa» dice loro.La Pinarovescia la fodera da cui escono una ventina di piccole patate. Mia madre guarda il “bottino” della Pina e le dice: «Stasira a dividar ho fat un trist afari. Guarda agh patachi ca go me» e rovescia il contenuto del suo sacco: erano tutti pezzi di terra, ma di patate non c’era l’ombra. Mio padre comincia a ridere: «Agh duvrev gnir di gnoc negar…». Poi si interrompe, annusa l’aria e fa una smorfia: «Che puzza che c’è qui dentro…». Mia mamma e la Pinafanno finta di niente, ma tutte due, con la paura patita al cimitero, se la sono fatta addosso…
E questa è un’altra storia: una mattina d’estate, mio padre e il nonno Guglielmo vanno a rane. Partono decisi e quando tornano a casa, di sera, ne hanno catturato parecchie, stipate nella fodera. «Legala bene, che le puliamo domattina» dice il nonno a mio padre. Verso le 22 andiamo tutti a letto. Dopo un paio d’ore cominciamo a sentire degli strani rumori e poi qualcosa muoversi sul letto. Sono le rane! Ce ne sono dappertutto. La corda si è allentata e gli animali sono usciti spargendosi per la casa. Tutti gridano, mentre io e mia sorella ridiamo. Ci vuole tutta la notte per catturarle quasi tutte, visto che qualcuna riesce a fuggire attraverso la fessura che avevamo nella porta. Ovviamente con tutta quella confusione abbiamo svegliato mezzo piano. Il giorno dopo il nostro vicino di casa Bentivoglio Maini incrocia mio padre e gli dice: «Corneli, gat soquanti rani da darum, acse con queli che ta pers e quelli che tam dà, a magn anca me». «An far minga al caval, cat se già gran a basta» gli risponde mio padre. In effetti Maini era alto un metro e ottanta.
Quirino Mantovani