UN RICORDO DI PIETRO PRANZO - Indicatore Mirandolese
È morto il 19 marzo, al termine di una lunga malattia che ha affrontato con un coraggio e una determinazione esemplari, lʼavvocato Pietro Pranzo, già segretario generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola.
“Piero” (così era conosciuto da tutti) aveva 77 anni, essendo nato il 5 giugno del 1938. Brillante calciatore in età giovanile, ha lavorato alla Cassa di Risparmio quindi alla Fondazione omonima. Era anche un attivo volontario di “Porta Aperta”. Stimato e benvoluto da tutti, Pranzo è stato salutato nel suo ultimo viaggio da una folla di cittadini.
Alla moglie Laura, ai figli Giuseppe e Lisa, ai due amati nipotini e a tutti i famigliari vanno le condoglianze del Comune di Mirandola e dellʼIndicatore, giornale di cui “Piero” era affezionato ed attento lettore. Lo ricordiamo con questo scritto di Marcella Bertolini, che per anni ha lavorato con lui in Fondazione.
Quando ci si appresta a iniziare a scrivere un articolo, un ricordo, il tratto di una persona, soprattutto quando questa non c’è più, ci si interroga sempre con quale stile, tono, modo ricordarla. Almeno a me succede così. Ed è da ieri, quando ho saputo che sei mancato, che ci penso. Quando questa mattina ho visto fuori, sul necrologio, la tua immagine sorridente, con il tuo cappellino blu con la visiera e la polo rossa, con la quale ti abbiamo visto entrare tante volte in Fondazione, tutti gli interrogativi sullo stile, sulla formalità, sono immediatamente caduti e quell’“avv.” che in tante lettere precedeva il tuo nome Pietro Pranzo ha lasciato il posto al solo Piero, come poi hai sempre voluto tu, ed è per questo che ho deciso di scrivere a te. Sì, perchè quando lavori tanti anni con una persona come Piero, poi ti ci affezioni veramente, e non è più solo quello che è stato il tuo “capo”, ma è un amico, sul quale puoi contare.
Quasi tutti sapranno che hai lavorato una vita alla Cassa di Risparmio di Mirandola, responsabile dell’Ufficio Legale; e poi come Segretario Generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola. Il ricordo che ho di te è innanzitutto di un professionista serio, affidabile, preciso; di una persona colta, curiosa, che voleva “andare alla fonte” dei testi, degli articoli, dei saggi, dei codici, che amava studiare, approfondire. E che non si è mai fermato. Una volta a casa dalla Fondazione, ti sei rimesso in gioco, e l’hai fatto al meglio. Unendo alla tua esperienza e professionalità, il volontariato. E hai dato una mano a Porta Aperta, con tanto impegno e passione, le stesse che mettevi in Fondazione. Ma il ricordo non si ferma certo al solo lavoro; eri innamorato della tua Mirandola, del calcio mirandolese, dove giocavi da ragazzo.
Eri innamorato anche della tua Cassa di Risparmio, e poi della Fondazione. Al lavoro pretendevi tanto, ma alla fine, quando sei stato a casa dalla Fondazione, i complimenti a me e alla mia collega Sandra hai iniziato a farli allora. E lì, non hai più lesinato, anzi. E dimostrandoci il tuo affetto, la tua stima, facendoci vedere i nostri talenti ci hai spronato con tanti «dai putìna» a dare il meglio e a non fermarci mai di studiare, di approfondire, di perseguire quello per cui siamo portate. E poi eri innamorato della tua famiglia. Quante volte ci hai nominato Laura, Giuseppe, Lisa e soprattutto i tuoi nipotini Andrea e Luca. Le loro foto, i loro progressi, le loro telefonate a voi nonni; e che gioia e che entusiasmo quando ci raccontavi che andavi al mare da loro, o che loro venivano da te. Proprio la tua famiglia, ma in generale credo proprio l’attaccamento che avevi per questa vita, che ti piaceva tanto e che tu ritenevi bella e degna di essere vissuta nonostante la prova, credo ti abbiamo dato quella forza che ha davvero stupito tutti. «Putina, vado avanti con le unghie e con i denti», ecco questa frase che ci hai detto più volte, quando fino all’ultimo sei venuto a trovarci in Fondazione, per fare qualche fotocopia, per prendere uno dei nostri caffè, per salutarci, la porterò sempre con me, come monito e come esempio dell’amore che avevi per questa vita e del coraggio che hai dimostrato a tutti. Un esempio coerente e un coraggio da leone hai dimostrato a tutti di avere: non sottraendoti alle cure, seppur pesantissime, uscendo, fino all’ultimo: a fare la spese o a prendere un caffè con tua moglie, venendo in Fondazione, andando a Porta Aperta, quando già non stavi bene, continuando a studiare, ad approfondire, a lasciare qualcosa di tuo, dei tuoi approfondimenti, per chi poteva averne bisogno.
Ho il ricordo di te, quasi fino all’ultimo, a Messa, come Ministro Straordinario dell’Eucarestia. Non stavi bene, ma con il tuo bastone hai continuato a metterti a servizio degli altri. E la Comunione data da te assumeva veramente il senso del “Fate questo in Memoria di me”, del servizio “chi vuole essere il primo, sia il servo di tutti”.
Ed era da immaginare che non smettessi di studiare ed approfondire con la tua salute: certo, le cure tradizionali, standard, da protocollo, obbligatorie, o comunque caldamente consigliate; ma quanto hai studiato, quanto hai approfondito, per sapere se c’erano altri metodi, altre cure, altre medicine, altri rimedi, per guarire o semplicemente per stare meglio. Avevi una speranza, negli occhi, quando ce lo raccontavi… una luce… un sorriso… Ed è per questo, che, al di là del fatto che non ci sei più, io sono fermamente convinta che la malattia non abbia vinto su di te. Il vero vincitore sei tu; perchè, nonostante tutto, la malattia non è riuscita a vincere, piegare, spegnere lo spirito, la carica, l’energia, la voglia di vivere e di stare tenacemente attaccato a questa vita che hai avuto fino all’ultimo. E perchè, laddove esiste una speranza così forte come quella che ho visto in te, non è mai la malattia che vince. Nonostante le apparenze, hai vinto tu.
Avrei tantissimi altri ricordi di Piero… in ultimo vorrei solo condividere ancora una delle sue tante frasi che mi diceva quando lavoravamo insieme in Fondazione, quando la Fondazione era più “piccola”, quando eravamo in due piccole stanze in via Cesare Battisti, in una Edmondo Trionfini, nell’altra Pranzo ed io, che eravamo praticamente in una vetrina che si affacciava sulla strada. Fattasi una certa ora, la sua frase era: «dai, putìna, ca sarem butega…» in effetti sembrava proprio quasi un negozio… Quando ci siamo trasferiti nell’immenso e prestigioso Castello dei Pico, e le chiavi di tutte quelle stanze, sale, porte sono diventate tante e anche gli allarmi, la frase non è cambiata: «dai putìna, ca sarem butega». E anche ora, che dopo il terremoto ci siamo trasferiti alla Favorita, quando chiudo la porta della Fondazione, le parole che mi risuonano sono sempre quelle.
Marcella Bertolini