UNA SERATA IN RICORDO DI TITO DOTTI - Indicatore Mirandolese
Lo scorso 18 novembre ci ha lasciati Tito Dotti, conosciuto e stimato non solo a Cavezzo, suo paese d’origine, ma in tutta la Bassa modenese. A meno di un mese di distanza Cavezzo ricorda questo suo figlio, una persona dotata di rara umanità e di grande competenza. La serata (vedi locandina) si svolgerà venerdì 14 dicembre alle ore 20 a Villa Giardino (via Cavour 24).
Di seguito, un ricordo scritto dal figlio, Milo Dotti.
Nato a Cavezzo nel 1945, Tito è stato insegnante elementare fino a quando è andato in pensione nel 2007. Diplomatosi all’istituto magistrale Sigonio di Modena, dal 1968 comincia a insegnare per l’Ecap (Centro addestramento professionale) a giovani apprendisti che stavano per imparare un mestiere. Intanto, comincia le prime supplenze nella scuola elementare di Cavezzo e San Prospero (e loro frazioni) e alla sera insegna l’italiano, nei corsi di studio, a lavoratori che devono conseguire la sospirata licenza elementare per non essere più considerati analfabeti.
Nel 1970 fu chiamato dall’allora neo direttore pedagogico Sergio Neri che lo volle come collaboratore ed educatore (insieme a Corrado Bignardi e altri del gruppo della Bassa), all’istituto Charitas di Modena (chiamato il “piccolo Cottolengo”), struttura per ragazzi disabili gravi che la Provincia di Modena, in accordo con l’istituzione Charitas, volle rinnovare nella gestione e nei metodi trasformandola da istituzione medico-sanitaria a istituzione educativa. Tito ricordava quando, per la prima volta, i ragazzi dell’istituto furono portati fuori a passeggio per il centro storico di Modena a prendere un gelato al Caffè Molinari, tra le facce stupite dei cittadini, non abituati, a quel tempo, a vedere ragazzi “diversi” in città, oppure in piscina o al mare tra gli altri cosiddetti “normodotati”. Quaranta anni fa una cosa del genere pareva “rivoluzionaria”, persino a Modena. I ragazzi diversamente abili cominciarono a prendere parte ai turni in colonia e ai centri estivi insieme ai loro coetanei.
A proposito di colonie Tito, fin dalla fine degli anni Sessanta, aveva preso parte alla gestione delle colonie (e dei centri estivi) come educatore (allora gli educatori si chiamavano “monitori”) e come direttore della colonia “Bamby”. Come Maria Ettori ricordava, le colonie fino a alla metà degli anni Sessanta erano «di tipo tradizionale, cioè autoritarismo, caporalismo, mancanza di fini educativi, prevalenza del fatto assistenziale e anonimità». Sulla scia delle idee di Sergio Neri, che aveva studiato le colonie estive francesi, un gruppo di insegnanti ed educatori della Bassa contribuì a trasformare il ruolo e la funzione delle case di vacanza estive: da colonia assistenziale a colonia come comunità educante. Tra questi Tito divenne un punto di riferimento per l’organizzazione e la conduzione delle colonie gestite dal Comune di Mirandola e successivamente dal Consorzio dei Servizi sociali della Bassa modenese. Tantissimi i bambini e ragazzi che parteciparono alle colonie estive, in quel periodo. A quel tempo molti bambini non avevamo alternative: i genitori non potevano portarli in vacanza, tanti non avevano mai visto il mare. Nel frattempo Tito aveva cominciato a insegnare nella scuola elementare. Aveva già fatto un paio d’anni di supplenza, poi dal 1971 andò di ruolo a Staggia di San Prospero, nell’anno successivo a Camatta di Pavullo, poi a Uccivello per due anni, e infine, dal 1975 a Disvetro, piccola frazione di Cavezzo. Attivo nel Movimento Cooperazione Educativa (ispirato alle teorie di Celestin Freinet), fu sperimentatore attivo di metodi pedagogici che contribuirono a innovare la scuola modenese. Come lui diversi insegnanti cominciarono a sperimentare una didattica attiva, centrata non più sull’insegnante ma sui discenti, non più sulla competizione ma sulla cooperazione, sullo scambio. Ecco allora la cooperazione educativa : la diversa disposizione dei banchi e dell’aula come laboratorio, il lavoro in gruppi, il testo libero, il giornalino scolastico, la tipografia in classe, le uscite sul territorio, la corrispondenza scritta con altre classi di paesi lontani, il gemellaggio e il ritrovo coi corrispondenti di penna, il metodo di ricerca – azione… Alla fine degli anni ‘60 questi e altri elementi cominciarono a entrare nel bagaglio culturale e professionale di una nuova leva di insegnanti motivati e innovatori che si andavano formando. A Disvetro ha lavorato realizzando, insieme a tutte le colleghe e ai suoi colleghi del plesso e ai loro alunni (un lavoro collettivo e cooperativo straordinario, un’interazione proficua tra docenti, alunni, genitori, territorio: a Disvetro era ancora possibile!), alcuni progetti educativi e didattici innovativi, in particolare sulla storia locale, conclusi poi con la loro pubblicazione. La scuola di Disvetro imparava Storia partendo dallo studio della propria storia, facendo ricerca direttamente sui documenti, negli archivi e creando nel contempo essa stessa memoria storica. Ecco allora ricostruita, dagli alunni insieme ai loro docenti, la storia della scuola di Disvetro (dal ritrovamento della “prima pietra”!); la vicenda dimenticata e riesumata per caso dai registri dell’epoca, dell’esperienza di solidarietà dei “bambini romani del ’46” stremati dalla miseria e ospitati a Disvetro per oltre un anno; la vicenda dell’alluvione del Po, anche questa ripescata dall’oblio, quando si scoprì che durante l’alluvione del Po del 1951, a Cavezzo vennero ospitate circa 50 famiglie sfollate. Storie che avevano al centro la solidarietà naturale, attiva, dei nostri vecchi compaesani, umili, poveri, ma ricchi di umanità. Per molto tempo a Tito fu conferita la funzione di collaboratore vicario (il vice del direttore scolastico) per la Direzione didattica di Cavezzo. Tra i fondatori della Cgil Scuola di Modena (poi Flc) nel 1967, fu sempre presente nel sindacato della scuola. Sin dall’inizio della sua carriera contribuì alla costruzione del tempo pieno collaborando con l’amico pedagogista Sergio Neri.
Attivo politicamente nel Pci, fu consigliere e assessore alla Scuola nei primi anni Settanta, oltre che vice sindaco tra il 1970 e il 1975. In questi anni, proprio da assessore alla Scuola a Cavezzo, insieme alla Giunta dell’allora sindaco Estemio Malagoli e con Ercole Baraldi allora direttore didattico, fece partire un progetto di scuola precursore del tempo pieno, un modello innovativo di organizzazione scolastica, che coinvolgesse le scuole delle frazioni site in campagna. Cominciò come doposcuola comunale con insegnanti pagati dal Comune. Nell’arco di tre o quattro anni il doposcuola comunale si trasformò in scuola a tempo pieno statale, riconosciuto e introdotto poi in Italia con la Legge numero 820 del 1971. Nei primi anni Novanta aderì a Rifondazione Comunista che, in particolare nella Bassa modenese, aveva in lui una guida preziosa, ricoprendo ruoli di dirigenza nelle istituzioni.
In anni più recenti ha preso parte alla vita amministrativa del paese prima solo come consigliere comunale tra il 1999 e il 2004, poi come consigliere e assessore ai Servizi sociali tra il 2004 e il 2009 nella lista “Per Cavezzo Uniti nel Centrosinistra”. Attivo anche nell’associazionismo sportivo cavezzese, in particolare nel calcio: prima come giocatore nella locale Polisportiva Cavezzo, poi alla fine degli anni Settanta, fondatore, insieme ad Alberto Boccafoli, Tonino Guaitoli e altri, della squadra di Amatori Calcio di Cavezzo (staccatasi dalla locale Polisportiva), ancora oggi presente sui campi di calcio nei campionati Uisp della zona, con il nome di “Ponte Motta”.
Credendo nel valore dello sport praticato, si attivò per favorire la partecipazione di bambini e ragazzi cavezzesi ai corsi di nuoto e all’attività agonistica della piscina di Mirandola, adoperandosi perché, anche a Cavezzo, si potesse disporre del pulmino comunale per favorire una maggior frequenza ai minori che non avrebbero potuto frequentare i corsi e gli allenamenti pomeridiani. Insieme alla famiglia Tassinari si creò, di fatto, una sezione cavezzese della Delta Nuoto che vide la presenza di tanti giovani coinvolti nelle gare e nelle manifestazioni di nuoto a tutti i livelli. Notevole anche la sua partecipazione alle attività culturali della propria comunità. Fece parte dall’inizio, come intervistatore, del Progetto “Laboratorio Memoria a Cavezzo”, promosso dal Comune in collaborazione con la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino, progetto di ricerca e conservazione delle memorie individuali e collettive fondato sulla consapevolezza del valore della memoria storica di ogni comunità come patrimonio culturale e sociale. Venivano raccolte, attraverso interviste filmate, le storie di vita dei cittadini cavezzesi proiettandole in occasioni pubbliche per renderle poi fruibili presso una sezione memoteca della biblioteca comunale. Tito realizzò, a partire dal 2005, diverse video interviste nel corso degli anni, accompagnato alle riprese e al montaggio da Clemente Mai. Coinvolto nel progetto cavezzese del “Teatrino di Edo” (una compagnia di teatro di burattini nata nel 2008 che mette in scena storie e musiche originali, eseguite dal vivo da una mini orchestrina) nel volume pubblicato dal Comune di Cavezzo “Un paese e i burattini”, a cura di Chiara Fattori, Tito ha scritto nella sezione “Burattinai a Cavezzo” una ricostruzione storica appassionata della dinastia di questi grandi burattinai che erano di casa nelle nostre terre: i Preti – Pederzani e realizzato un video “Teste di legno a Cavezzo, corsi e ricorsi: la famiglia Preti”.
Più di recente, per l’Associazione Amici di Sergio Neri aveva raccolto i registri di classe dell’amico, quando Neri ancora insegnava come maestro. Poi, per l’Indicatore, aveva raccontato la passione e la visione che emergeva da queste pagine scritte.
Onestà, integrità, rigore, generosità, disinteresse personale: difficile trovare tutte insieme queste qualità in una persona, eppure, nonostante gli umani limiti, tutti coloro che lo ricordano (amici, compagni, colleghi, conoscenti, ma anche coloro che sono culturalmente o politicamente distanti) gli hanno sempre riconosciuto queste doti. Negli ultimi anni la sua attività in campo politico e sociale ha lasciato spazio alla cura amorevole, coadiuvato dai figli, della moglie malata. Nel frattempo anche Tito si ammala. Pure la scelta di non divulgare la notizia della sua malattia, per non vivere da malato l’ultimo periodo, evitando che la gente lo fermasse per strada per chiedergli tristemente: «Come va?», commiserandolo per la sorte avversa, fa parte del suo riserbo naturale e della sua concezione della vita. Una vita vissuta fino in fondo da uomo libero, con coerenza e dignità.