25 APRILE: UNA PAGINA DIMENTICATA DI EROISMO ED ANTIFASCISMO - Indicatore Mirandolese
Focus sui tanti italiani che imprigionati nei campi tedeschi rifiutarono di aderire la Repubblica Sociale
Pubblichiamo un contributo di Maria Paola Bergomi, Presidente del Consorzio Memoria Festival.
“Col 25 aprile, e con esso l’eterno corredo di dibattito e polemiche che nel Belpaese non mancano mai. Sono ormai decenni che si parla di “pacificazione”, un obiettivo ancora lontano nei libri di storia, ma soprattutto nella dialettica pubblica. Non sono uno storico della contemporaneità e sono una modesta conoscitrice della letteratura storiografica sul Novecento, un periodo che ancora si fatica a studiare in dettaglio nelle scuole superiori. Molti di noi, tuttavia, hanno o hanno avuto un canale diretto con la memoria storica del “secolo breve”: i nostri nonni o bisnonni. Mio nonno Francesco fu impegnato come sottotenente in fanteria; conservo gelosamente alcuni suoi scritti del periodo bellico (soprattutto lettere destinate a mia nonna) e postbellico (soprattutto lettere ai giornali locali), ereditate da mio padre.
Nonno fu uno dei molti soldati – si stima circa 600.000 – che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 finirono internati nei campi nazisti, e ci rimasero fino alla fine della guerra nel ’45, essendosi rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale. Qualcuno ha saggiamente definito questa sofferta decisione, una decisione a suo modo eroica e frutto anche dello spirito di corpo dei commilitoni, “una pagina dimenticata di antifascismo”. Questa pagina di storia, quella appunto delle centinaia di migliaia di Italiani che soffrirono gli inverni tedeschi e polacchi rifiutandosi di continuare a combattere con la Germania nazista, è una parte fondamentale della guerra di Liberazione ed è stata troppo a lungo trascurata. Nel 2020 Aldo Grasso ha dedicato a questo tema un bell’articolo sul Corriere della Sera, in occasione della pubblicazione di uno studio importante, edito dal Mulino, dal titolo “I militari italiani nei lager nazisti”.
Il libro scandaglia la vita quotidiana dei prigionieri, in bilico tra istinto della fame e desiderio di mantenere dignità e onore (come scrisse in Primo Levi, “il lager è la fame: noi stessi siamo la fame”). La vicenda dei soldati italiani che dissero “no”, e che per questo scontarono gli ultimi due anni di guerra nei campi di prigionia, è stata per decenni pressoché dimenticata, per le più svariate ragioni: la rimozione, lo stigma che molti soldati si portavano addosso (pur non essendo, la maggior parte di loro, militanti del partito fascista ma semplici cittadini), la glorificazione storiografica dei partigiani, considerati gli unici artefici della Liberazione.
Alcuni di questi soldati divenuti prigionieri sono nomi noti agli italiani, come Giovannino Guareschi, il padre di Peppone e Don Camillo, una voce libera della letteratura e della cultura “popolare”, che seppe guardare al suo passato di soldato e alle vicende della Resistenza con un occhio disincantato. Mio nonno Francesco aveva molto in comune con la sensibilità di Guareschi, e ad ogni 25 aprile mi piace riguardare il suo “foglio della Liberazione” e un ritratto che un suo compagno di prigionia gli dedicò nel campo di Wietzendorf, in Germania, in cui arrivò dopo mesi di prigionia allo Stalag 307 di Deblin-Irena, in Polonia.