110 E LODE AI "SALVATORI" DI EBREI - Indicatore Mirandolese
Nei giorni scorsi il concordiese Francesco Mai si è laureato con 110 e lode con una tesi sul salvataggio degli ebrei nella Bassa modenese durante la seconda guerra mondiale. Un tema affascinante ma complesso, perché le fonti non sono facili da reperire, essendo proprio la riservatezza (e quindi la mancanza di documenti e di altre tracce del loro rischioso lavoro) una delle prime regole che dovevano osservare i “salvatori”. Abbiamo intervistato Mai, fresco dottore in Scienze Storiche alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna, per saperne di più sul suo lavoro, che tratta di tanti aspetti inediti della nostra storia recente.
Dalla sua tesi emerge che quella ebraica nella Bassa era una presenza antica… Quali caratteristiche aveva? Gli ebrei come erano considerati? Erano discriminati?
«Gli ebrei, giunti nella Bassa sin dalla fine del XIV secolo, assunsero, in quanto prestatori di denaro e poi commercianti, un ruolo molto significativo nel tessuto socio-economico della zona. Per questo essi godettero del favore dei Pico e, almeno fino all’800, pure degli Estensi. Ma certo non mancarono le vessazioni nei loro confronti, soprattutto da parte del Sant’Uffizio».
Lei dice che le leggi razziali del 1938 arrivano, anche nella Bassa, come un fulmine a ciel sereno. In che senso?
«Nel senso che colpirono una popolazione come quella ebraica, perfettamente integrata nella comunità locale e a tutti gli effetti “italiana”. In proposito il secolo XIX aveva rappresentato lo spartiacque decisivo: l’arrivo delle truppe napoleoniche nel 1796 e la nascita dello Stato unitario italiano nel 1861 avevano consentito agli ebrei di godere dei medesimi diritti di cittadinanza degli altri abitanti della penisola. D’altra parte però il processo di “emancipazione” provocò un consistente calo demografico nella popolazione ebraica della Bassa, tanto che la comunità ebraica di Finale venne aggregata a quella di Modena nel 1921».
Quali furono le conseguenze immediate della campagna antiebraica voluta da Mussolini?
«Le leggi razziali comportarono per i pochi ebrei presenti nella Bassa l’espulsione dalle scuole e da ogni professione».
Quando iniziò l’opera dei salvatori? Quali furono i protagonisti di questa incredibile vicenda?
«Sin dal ’42, quando ebrei stranieri provenienti dalla Jugoslavia, occupata dai nazifascisti, vennero mandati in “libero internamento” nei Comuni della Bassa, la popolazione locale si prodigò in loro aiuto, fornendo cibo ed ospitalità. Tuttavia fu solo dopo la firma dell’armistizio con gli alleati, l’8 settembre del ’43, che l’opera di soccorso s’intensificò e diventò più rischiosa. A Finale fu don Benedetto Richeldi a nascondere gli ebrei braccati presso alcune famiglie del paese, da dove poi essi fuggirono per recarsi nella neutrale Svizzera; mentre a Mirandola s’impegnarono in questa azione di salvataggio Silvio Borghi, casaro di Mortizzuolo, Ariella Benatti e don Dante Sala, parroco di San Martino Spino. Don Sala collaborò poi con Odoardo Focherini, carpigiano ma allora abitante a Mirandola, per aiutare numerosi ebrei, soprattutto di Modena, a fuggire in Svizzera».
Ha trovato collegamenti tra i vari Comuni? Quanto era estesa la rete dei salvatori?
«Alcuni parroci della Bassa erano certamente in contatto tra loro e la situazione di emergenza spinse in particolare don Richeldi a contattare parroci di Modena e dell’Appennino per aiutare gli ebrei a nascondersi. Più estesi ancora erano i contatti di Focherini, che, in qualità di presidente dell’Azione Cattolica di Carpi, direttore de l’Avvenire d’Italia e dipendente della Cattolica Assicurazioni, aveva numerose conoscenze nella realtà cattolica non solo modenese, ma anche di Bologna e Ferrara. Inoltre, decisivi per la sua opera di salvataggio risultarono i legami che egli aveva con diversi esponenti di spicco del mondo ebraico italiano e modenese in particolare, come Valobra e Salvatore Donati, esiliati in Svizzera».
Una delle storie meno note è quella degli ebrei di Concordia e del loro salvataggio. Cosa ha scoperto?
«Circa la presunta fuga in Svizzera della trentina di ebrei presenti a Concordia non ho trovato conferme. Se infatti essi furono aiutati dai gruppi antifascisti locali a fuggire dal paese, solo pochi di loro superarono il confine elvetico, forse a causa di carenze organizzative. Tuttavia ho trovato testimonianze inedite e significative circa l’ospitalità data agli ebrei da alcune famiglie del paese».
In generale che idea si è fatta dei salvatori? Quali motivazioni li spingevano?
«Ritengo che tutti coloro che aiutarono gli ebrei fossero animati da un profondo senso di solidarietà umana; comune anche a parroci e laici cattolici, mossi in primis da una fede cristiana che superava le differenze religiose».
Quale personaggio o famiglia ebrea l’ha più colpita nelle sue ricerche?
«Il personaggio ebreo che più mi ha colpito è Bino Levi. Figlio di un antiquario di Venezia di origini greche, Bino venne arrestato con il fratello e lo zio ed internato a Concordia. Fuggito in Svizzera a fine ’43, aguerra finita tornò in Italia, per sposare nel ’46 la signora Angiolina Carra, conosciuta durante il suo internamento a Concordia».
E tra i salvatori? A quale è più affezionato? Perché?
«Senza dubbio la figura di “salvatore” alla quale sono più legato è quella di Focherini, che pagò con la vita l’aver salvato decine di ebrei».
Un cenno alle fonti. Oltre a consultare documenti ha anche intervistato diversi testimoni del periodo. Le hanno raccontato qualche aneddoto?
«Più che ad aneddoti, sono particolarmente affezionato ad una foto, gentilmente concessami dalla signora Carla Zanoni di Santa Caterina, che ritrae due famiglie ebree ospitate dalla sua famiglia durante la guerra. La foto fu scattata a Lubiana, allora occupata dagli italiani, dove le famiglie Bergel ed Eskenazi transitarono prima di essere inviate a Concordia dalla Questura».
Per concludere, come è stata accolta la sua tesi? Ha incuriosito la sua relatrice, Francesca Sofia, e la commissione di Bologna?
«Il mio lavoro è stato molto apprezzato, in particolare da relatrice e correlatrice, per la rilevanza storiografica del tema trattato e per la quantità e minuzia dei dati raccolti. Tuttavia, al di là della soddisfazione personale che ne ho ricavato, il mio auspicio è che questo lavoro di ricerca possa sensibilizzare addetti ai lavori e comuni cittadini sul ruolo attivo avuto dalla popolazione della Bassa nella lotta contro il nazifascismo durante la seconda guerra mondiale».
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